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Il grande giorno sta per arrivare. Il 15 febbraio alle ore 15 finalmente mi laureerò e racconterò ai presenti (oltre che alla commissione) il magico viaggio che ho fatto in un anno di frequentazione assidua dell’universo Disney.
Il talento di Walt Disney si può riassumere, credo, in un aneddoto che ho letto in una delle sue biografie. Prima di realizzare Biancaneve e i sette nani, Walt Disney convocò tutto lo staff nel suo studio e lì recitò il film dall’inizio alla fine: tutti i personaggi lui li interpretava, da Biancaneve al principe, dalla regina ai nani. Lo definirono One-Man-Show. Mai definizione fu più appropriata per un talento come quello di Disney. Un uomo che ha avuto successo in ogni settore in cui abbia investito: fumetti, cartoon, televisione, parchi a tema, film dal vero. Il successo lo ha caratterizzato per tutta la sua vita. Eppure, leggendo le biografie, emerge un’infanzia infelice, un lavoro a cui era stato costretto fin da piccolo. Ma Disney si è rialzato e ha guardato avanti: e le porte per il suo magico universo si sono sbarrate. Di solito – e la Storia insegna – sugli uomini di successo si tende a dire molto. Come molti altri celebri artisti, Walt Disney ha fatto parlare di sé anche per la sua vita privata; e in quegli anni c’era davvero molto su cui costruire castelli di fandonie (e anche oggi). Ad esempio i suoi rapporti con Roosvelt, di cui è stato promotore con I tre porcellini, inno ufficiale del New Deal; i suoi rapporti con l’FBI, di cui era informatore (siamo agli inizi della Guerra Fredda e la minaccia comunista è una realtà); i suoi film di propaganda anti-nazista (come Der Fuehrer’s face, Education for Death, The New Spirit, tutti con Paperino); il suo presunto anti-semitismo; le sue ossessioni infantili (come la presenza costante degli orfani). C’è molto, insomma. Per non parlare poi dell’iscrizione alla massoneria, al De Molay International. Insomma, tutti questi elementi ricostruiscono un’immagine ambigua: da un lato Walt Disney, il capo della sua azienda, il creatore di Topolino e di Biancaneve; dall’altro un uomo immischiato in affari politici e di spionaggio. Che cosa c’è di vero in tutto questo? Tutto e niente, da quello che ho capito. L’antisemitismo non è dimostrabile, a mio avviso; il fatto che informasse l’FBI è normale, visto il suo potere; e l’essere figlio illegittimo, anche in questo caso, non è dimostrabile. Sono tutte ipotesi. Però è sull’iscrizione alla massoneria che si è ricamato molto, visto che la Disney ha poi inserito i messaggi subliminali in alcuni film, come Bianca e Bernie, Il Re Leone, La Sirenetta eccetera. Walt Disney è estraneo a questa faccenda. Se escludiamo l’ambiguità di Dumbo con la scena degli elefanti rosa, nei suoi film non c’è assolutamente nulla di maligno, e anzi il male tende a essere sconfitto. Sta per vincere ma soccombe. Può essere, questa, una celebrazione del male, o è invece una celebrazione della vittoria del bene sul male? Sono i denigratori di Walt Disney a vedere complotti dappertutto. Si tratta di quelli che Eco definirebbe “apocalittici”, cioè quelli che vedono i media in grado di manipolare le menti – ed è ciò che farebbero i messaggi subliminali. Ciò nonostante, i fan di Walt Disney e del suo universo continuano a credere nella bontà di quest’uomo. Il loro amore si traduce in una passione che sconfina nella creatività: per questo ci sono i forum e le cosiddette Fan Fiction. Ricreare a partire da universi pre-confezionati è molto più facile che creare mondi nuovi. Questo fenomeno dà vita a delle storie ricche di fantasia in pieno stile Disney. Esempio è Papersera.net, fanzine on-line sui fumetti Disney. A proposito dei fumetti, Walt Disney non ha dato molto spazio a questo settore. Le storie di Topolino e di Paperino sono state scritte da Floyd Gottfredson e da Carl Barks. Disney e Ub Iwers si occuparono delle strisce di Topolino solo nelle prime settimane. Disney era troppo preso dai cartoon e sapeva che era nell’animazione che poteva sperimentare: il fumetto lo limitava troppo, per questo è stato sempre defilato, pur firmando le storie. Walt Disney è stato, dunque, il vero creatore del cinema d’animazione. Perlomeno è stato colui il quale è riuscito, con Biancaneve e i sette nani, a dare ai cartoni animati la stessa dignità artistica di un film dal vero. Ma oggi, a differenza degli anni Trenta e Quaranta, l’epoca d’oro della produzione disneyana, non c’è più il monopolio. Oramai negli Stati Uniti anche la 20th Century Fox, la Universal e la Warner Bros fanno film d’animazione, non solo la Disney o la Disney-Pixar. Dunque la concorrenza si è moltiplicata. Fuori dagli Stati Uniti solo i giapponesi hanno saputo dare dignità artistica a un genere che, a causa di pregiudizi ancora molto diffusi, è considerato per bambini. Mai affermazione fu più falsa di questa. Gli anime non sono affatto per bambini; non lo sono i film di Miyazaki né quelli di Takahata. Sono anzi più per adulti che per bambini. Invece i film della Disney sono anche per bambini, che però li guarderanno con un occhio meno critico rispetto all’adulto. In definitiva, Walt Disney sta all’animazione come Omero sta alla letteratura; come Shakespeare sta al teatro e come Dante sta alla poesia. Walt Disney è stato un artista unico. Non sapeva disegnare, non inventava nuovi soggetti ma reinterpretava quelli di altri autori. Era la mente di uno staff formidabile. Disney si definiva un direttore d’orchestra o un’ape che porta il polline. Ad ogni modo, resta un genio visionario unico, alla pari di Chaplin, di Picasso e di Van Gogh. Walt Disney è immortale proprio come immortali sono i suoi capolavori, capaci, ancora oggi, dopo oltre quarant’anni, di farci emozionare e di farci sognare proprio come quando eravamo bambini. |